Nel 2011, qualcuno dice per fortuna, si torna a parlare della cara e vecchia inflazione. Un po' perché le politiche antideflazionistiche sono andate a bersaglio ma anche perché il clima (monsoni, gelate, secche) ha mandato gambe all'aria campi e coltivazioni in tutto il mondo, facendo balzare i prezzi delle materie prime agricole ed energetiche.
Tema, quello del ritorno dell'inflazione, che interessa da vicino anche gli investitori, soprattutto quelli che amano andare a pescare opportunità lontano dall'Europa negli Stati Uniti o fra quelli che 30 anni fa furono chiamati, per la prima volta, paesi emergenti. Oppure fra quei paesi (Brasile, India, Russia e Cina) che nove anni fa sono stati accorpati nell'acronimo Bric per distinguerne la marcia in più. Oppure fra quelli (Indonesia, Messico, Corea del Sud, Turchia) che offrono un contributo al Pil globale superiore all'1% (cadauno) e che ormai sono finiti sotto i riflettori dell'alta finanza globale. Senza dimenticare il Sudafrica, reduce dall'effetto mondiali di calcio e in piena regola per continuare a crescere.
Investire lontano dall'Europa
«In questo momento il focus dell'investitore azionario si è spostato nelle aree dove l'inflazione non preoccupa e quindi in quelle dove non sono all'orizzonte rialzi dei tassi di interesse, come gli Stati Uniti - spiega Rossana Brambilla, gestore portfolio manager global emerging market e area pacifico di Sella Gestioni -. Ecco perché Wall Street è meglio posizionata dei paesi emergenti, che stanno soffrendo questo problema dell'inflazione». Basti pensare che in Brasile il caro-vita viaggia al ritmo del 5,9%, in Indonesia al 7%, in India si avvicina al 10% e in Cina al 4,6 per cento.
«In questo momento il focus dell'investitore azionario si è spostato nelle aree dove l'inflazione non preoccupa e quindi in quelle dove non sono all'orizzonte rialzi dei tassi di interesse, come gli Stati Uniti - spiega Rossana Brambilla, gestore portfolio manager global emerging market e area pacifico di Sella Gestioni -. Ecco perché Wall Street è meglio posizionata dei paesi emergenti, che stanno soffrendo questo problema dell'inflazione». Basti pensare che in Brasile il caro-vita viaggia al ritmo del 5,9%, in Indonesia al 7%, in India si avvicina al 10% e in Cina al 4,6 per cento.
Come si combatte l'inflazione? Aumentando i tassi di interesse, ad esempio. Come ha fatto il Brasile pochi giorni fa (che ha portato il costo del denaro all'11,25%) o come potrebbe tornare presto a fare anche la Cina (la settimana scorsa la Banca del Popolo di Pechino ha stabilito che gli istituti di credito devono aumentare le riserve, una misura che secondo gli investitori è paragonabile a un implicito rialzo dei tassi). Ma un aumento del costo del denaro favorisce l'apprezzamento della valuta del paese che ha operato la stretta. E un apprezzamento eccessivo della valuta fa perdere competitività. Del resto, è proprio quello che lamenta il Brasile, fortemente critico nei confronti del partner commerciale statunitense, visto che il real è balzato del 40% in due anni sul dollaro.
I paesi emergenti da evitare nel breve periodo
Riepilogando: il rincaro dei prezzi delle materie prime del 2010 ha fatto balzare l'inflazione, in particolare nei paesi emergenti. Per contenere l'aumento del caro-vita le banche centrali hanno poche alternative al rialzo dei tassi di interesse (come dimostrano le recenti manovre in Brasile e Cina). Ma un rialzo dei tassi impatta negativamente sulle esportazioni (e sulla competitività) dato che favorisce un apprezzamento valutario (del paese che opera la stretta). Come si esce da questo imbuto?
«Tuttavia, salvo ulteriori shock climatici, nella seconda parte dell'anno la spinta dei prezzi degli alimentari dovrebbe esaurirsi e quindi la situazione andrà via via normalizzandosi - continua Brambilla -. Per questo motivo, nonostante la forte positività di medio lungo termine, tatticamente siamo cauti su paesi come Brasile, Cina, Indonesia e India. India e Indonesia sommano al problema dell'alta inflazione, valutazioni decisamente più elevate rispetto alla media dei paesi emergenti. L'attuale debolezza e volatilità - prosegue - che potrebbe caratterizzare i primi mesi dell'anno, potrebbe rendere i mercati in questione particolarmente interessanti».
Concorda Vincent Treulet, responsabile mondiale della startegia di Bnp paribas investment partners: «Per ora evitamo il Brasile e siamo neutrali sull'India».
I paesi emergenti su cui puntare nel breve periodo
«Allo stesso tempo - prosegue Brambilla- Brasile e Cina potrebbero essere dei mercati interessanti dopo il primo storno borsistico che potrebbe concretizzarsi nel primo trimestre». Per Treulet, «dopo un brutto 2010 la Borsa cinese potrebbe essere l'area più attrattiva per gli investitori con un alto profilo di rischio. Siamo favorevoli anche su Corea del Sud e Taiwan. Tra i mercati occidentali preferiamo gli Stati Uniti».
«Nel breve periodo - conclude Brambilla - preferiamo pertanto Turchia, Corea del Sud, Taiwan, Messico, Sudafrica. Paesi dove sono sicuramente contenute le pressioni sul fronte inflazionistico e che mantengono tassi di crescita interessanti. Per Turchia e Sudafrica i rischi maggiori sono sulla discesa del cambio».
Il rischio cambio
Chi investe lontano dall'Europa attraverso fondi azionari o Etf (fondi passivi che replicano l'andamento di indici azionari o panieri di titoli e, in virtù della gestione passiva, costano sensibilmente meno dei fondi "attivi" in termini di commissioni) non deve sottovalutare il rischio cambio, dato che la gran parte degli strumenti finanziari che puntano su queste aree sono esposti alle scorribande valutarie.
Imbarcando in portafoglio il rischio cambio bisogna sapere che un eventuale apprezzamento della valuta locale nei confronti dell'euro si traduce in un guadagno da aggiungere all'eventuale performance del fondo. Invece, se l'euro si apprezza nei confronti delle valute locali bisogna decurtare dall'eventuale rendimento l'apprezzamento della divisa europea. Da ciò, quindi, una difficoltà in più per chi intende investire in questo momento nei paesi emergenti. Proprio perché i paesi con valute forti (come il Brasile) sono però gli stessi in cui incombe il rischio rialzo dei tassi (che generalmente si accompagna a una flessione delle Borse) e quindi non sono consigliati a breve giro dagli esperti.
Viceversa, quei paesi in cui la valuta si sta svalutando nei confronti dell'euro (come la Turchia) e che quindi dal punto di vista valutario sarebbero da sconsigliare nell'ottica di un investimento, sono gli stessi che dal punto di vista macro (non sono previsti rialzi dei tassi e quindi i mercati azionari sono visti in rialzo) sono invece da consigliare. Insomma, l'effetto cambio rischia di neutralizzare eventuali guadagni. Pertanto, solo dopo aver analizzato correttamente con il proprio consulente finanziario questa variabile, è possibile far girar la roulette dell'azionario lontano dall'Europa.
Fonte: Il Sole24Ore